Con Amarcord, la nuova rubrica di Calcio Flash Ponente, conosceremo le vecchie glorie del calcio ponentino. Abbiamo voluto iniziare con Pasquale Berrica, ex centrocampista classe 1978, ora allenatore dei 2001 dell’Ospedaletti Calcio. Berrica ha esordito proprio nella prima squadra orange all’età di 17 anni, dove è rimasto per 6 stagioni, poi 4 anni in Promozione all’Argentina e infine al Ponente in Seconda Categoria. Un centrocampista completo, in grado di interpretare al meglio entrambe le fasi, molto abile nell’interdizione, dotato di buona tecnica e bravissimo negli inserimenti senza palla. In carriera ha segnato oltre trenta gol.
Quando hai iniziato a giocare in una squdra di calcio?
La mia passione per il calcio è nata quando avevo 5 anni, iniziando a giocare nel Rosarno Calcio, la squadra del mio paese di origine. A dire il vero, però, era già iniziata giocando in casa o per strada con gli amichetti di allora: in casa mia si è sempre respirato calcio, anche mio papà giocava.
Quanto è cambiato il calcio durante la tua carriera?
Il calcio di oggi è cambiato molto rispetto a qualche anno fa. Oggi è un gioco più veloce e frenetico rispetto a prima. Si predilige molte volte il risultato immediato anziché costruire a lungo termine con più calma.
Come hai trasferito le tue esperienze da calciatore nel ruolo di allenatore?
Fare il calciatore prima di diventare allenatore secondo me è importante soprattutto a livello psicologico, riesci ad entrare di più nella testa degli atleti, in quanto hai vissuto le stesse esperienze. Passando da giocatore ad allenatore ho cercato di tenere le sensazioni, gli attimi vissuti, le emozioni e la passione che avevo prima, portandole in panchina e negli spogliatoi.
Come mai hai smesso di giocare a calcio così presto?
Ho smesso di giocare a calcio abbastanza presto, avevo 31 anni ma purtroppo avevo ed ho tutt’ora problemi alla schiena. Molto volte il lunedì, dopo aver giocato la domenica, non riuscivo ad alzarmi dal letto per andare a lavorare. A malincuore ho smesso, ma la passione e l’amore che ho per questo sport mi hanno portato a fare l’allenatore.
Secondo il tuo parere cosa serve per rilanciare davvero il calcio italiano?
L’esclusione dai mondiali di calcio della nostra Nazionale ha portato a fermarci e riflettere su cosa si può fare per rilanciare il nostro calcio. A mio parere bisognerebbe “fidarsi” un po’ di più dei nostri giovani, sapersi relazionare di più con loro, i giovani sono la ricchezza più grande che possediamo. Vediamo arrivare in Italia molti stranieri, a volte basterebbe guardare nelle serie minori (Serie B, Lega Pro, Serie D) e dare loro fiducia, coinvolgendoli maggiormente sotto tutti gli aspetti, soprattutto umano. Basta guardare Gattuso come ha trasformato il Milan fatto di giovani in un gruppo passionale e con senso di appartenenza alla maglia.
Mi dai un parere sulle principali società del ponente: Sanremese, Argentina, Ventimiglia, Imperia, Ospedaletti e Taggia?
Dopo qualche anno “buio” il calcio nel Ponente direi che è tornato a certi livelli per fortuna. La Sanremese sta rispettando le attese e mi auguro che il prossimo anno sia in Lega Pro. Gode inoltre di un settore giovanile importante, avendo tra le proprie fila gli ex Argentina. Quest’ultima col mercato di riparazione sta facendo molto meglio e spero possa rimanere in serie D. Imperia e Ventimiglia direi che ormai sono società affermate negli anni e fanno bella figura nel campionato di Eccellenza. Per quanto riguarda il Taggia ho avuto modo di vedere qualche partita e penso non avrà problemi a mantenere la categoria e a giocarsi anche qualche chance per i play-off. Per finire la mia società, l’Ospedaletti, dove alleno gli allievi 2001. Il percorso intrapreso ormai da qualche anno continua, a livello giovanile i tesserati sono più che raddoppiati e la prima squadra quest’anno era partita molto bene, viaggiando nelle parti alte della classifica. Gli ultimi risultati non sono stati positivi ma penso che non ci saranno problemi a mantenere la categoria.
Che cosa deve avere come caratteristica indispensabile il tuo prototipo di giocatore?
La passione! Quella non deve mancare mai, attraverso quella si riesce ad avere molte altre caratteristiche dagli atleti, quali, cuore, testa, palle e gambe. Naturalmente spetta a noi addetti ai lavori saperla alimentare e far sì che duri a lungo.