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Romano Lupi presenta ‘Il portiere di Astrachan’, il suo quarto libro sul calcio sovietico:”Quando iniziai a giocare in porta Rinat Dasaev era il mio idolo”

Romano Lupi, nato a Sanremo il 6 dicembre 1974, è giornalista pubblicista dal 2005 e scrittore. Laureato in Filosofia (indirizzo etico-politico), Storia (indirizzo contemporaneo) e Dams (laurea triennale) ha al suo attivo diverse collaborazioni con giornali (tra cui La Riviera) e riviste culturali. Tra i suoi libri più venduti: Sanremando tra cronaca e storia (con Franco D’Imporzano, Philobiblon, Ventimiglia, 2004); “Cronache semiserie” (Quaderni Sanremesi, Sanremo, 2007); Futbolstrojka. Il calcio sovietico negli anni della Perestrojka (con Mario Alessandro Curletto, Socialmente, Bologna, 2008 e Fila 37, Roma, 2015); Il calcio sotto le bombe. Storia del Liguria nel campionato di guerra del’44 (Quaderni Sanremesi, Sanremo, 2008); Vittò (Quaderni Sanremesi, Sanremo, 2011 e Odoya, Bologna, 2016); Jašin. Storia di un portiere (con Mario Alessandro Curletto, il melangolo, Genova, 2014); Sanremo tenebra. Cento anni di delitti e misteri nella città del Festival (scritto con Riccardo Mandelli, Philobiblon, Ventimiglia, 2015); Il libro nero del Festival di Sanremo (con Riccardo Mandelli, Odoya, Bologna, 2017). Per Romano Lupi si tratta del quarto libro avente come argomento il calcio sovietico.

Ciao Romano, quando ha inizio questa tua grande passione per il calcio sovietico?

Da bambino. Mi sono sempre piaciute le maglie, l’inno e l’idea che gli atleti dell’URSS primeggiassero nelle discipline sportive senza guadagnare le cifre che percepivano in Occidente i loro colleghi. Per vincere una medaglia alle Olimpiadi non avevano bisogno del compenso economico, bastava la gloria tributatagli nel loro paese. Quel mondo mi incuriosiva, volevo sapere di più e lo sport era uno dei modi più agevoli per entrare in contatto con una realtà ancora poco permeabile alle influenze esterne.

Secondo te Rinat Dasaev è stato uno dei portieri più forti nella storia del calcio?

Sicuramente uno dei più forti della sua epoca, tanto da essere eletto miglior portiere del mondo nel 1988, dopo essere arrivato secondo l’anno prima nella stessa classifica. Di sicuro aveva un modo del tutto innovativo di interpretare il ruolo: grande sicurezza nelle uscite, capacità di far ripartire l’azione, partecipazione al gioco di tutta la squadra e un’innata eleganza. In quegli anni nessuno metteva in discussione il fatto che Jašin fosse stato il più grande portiere della storia del calcio e Dasaev sembrava un degno prosecutore. Dopo i Mondiali del 1982 sembrava da più parti che fosse il portiere più forte di quel periodo, un’epoca in cui giocavano tanti numeri 1 eccezionali: Zoff, Pfaff, Arconada, Schumacher, Młynarczyk, Koncilia, Clemence, Shilton; negli anni successivi emersero Zenga, Preud’homme, van Breukelen, Schmeichel e così via… Quando ho cominciato a giocare in porta, Dasaev era il mio idolo. E poi, nelle giovanili della Sanremese, mi allenava “Ceci” von Maier – anche lui di origine russa – che era stato nella Juve, aveva vinto un campionato di B con il Palermo ed era una bandiera della Sanremese che, negli Anni Cinquanta, era stata l’unica squadra capace di disputare tutti i campionati di Serie C a girone unico, record che non potrà mai più essere battuto. “Ceci” è stato una leggenda del calcio sanremese. Avevo l’impressione che tra i russi e il ruolo del portiere esistesse un legame particolare. Impressione che, negli anni, approfondendo l’argomento, è stata ampiamente confermata.

Perché il calcio sovietico non è alla pari di altre realtà mondiali?

Perché il calcio sovietico non esiste più. L’URSS era formata da 15 repubbliche, la sua disgregazione ha portato alla nascita di 15 stati e, di conseguenza, di 15 nazionali e 15 campionati. Tutte condizioni che, almeno a livello di nazionale, non renderanno più possibili i successi del passato, quando queste realtà erano tutte unite. L’Unione Sovietica, infatti, era arrivata in semifinale ai Mondiali del 1966, aveva vinto gli Europei del 1960, aveva disputato altre tre finali agli Europei (1964, 1972, 1988) e aveva vinto due ori olimpici nel calcio (1956 e 1988). Senza contare che il campionato sovietico era di alto livello, cosa che i tornei di Russia, Ucraina, Georgia, Bielorussia e così via non possono raggiungere da soli. La storia di Dasaev, in fin dei conti, è paradigmatica della fine dell’URSS e del declino del calcio post-sovietico.

Questo è il quarto libro che scrivi sul calcio sovietico, hai già in mente il quinto? Magari su un grande attaccante…

Idee ne ho tante (anzi troppe) e di vita una sola. Devo solo decidere a cosa dedicarmi, anche perché non scrivo solo di calcio. Il ruolo non mi interessa molto, mi intrigano di più il tipo di vita che i personaggi trattati hanno condotto. Potrebbe anche essere un calciatore meno noto in Occidente ma con una storia personale moto più interessante…

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